EQUIPOLLENZA DEL TITOLO ESTERO IN OSTEOPATIA AL FUTURO TITOLO ITALIANO: NO, MAI
Il nostro sistema è ancora culturalmente influenzato dal concetto di “equipollenza” come possibilità esclusiva di riconoscimento del titolo estero. A tal proposito si ricorda che la Legge 148/2002 non utilizza più tale termine e che per effetto dell’art. 9 è stata abrogata la precedente procedura di equipollenza. (http://www.cimea.it/it/servizi/procedure-di-riconoscimento-dei-titoli/procedure-di-riconoscimento-dei-titoli-overview.aspx)
Da questo si deduce che quando la legge 3 del 2018, all’articolo 7 (Individuazione e istituzione delle professioni sanitarie dell’osteopata e del chiropratico) parla di criteri per il riconoscimento dei titoli equipollenti NON sta parlando del futuro riconoscimento di eventuali titoli esteri ma esclusivamente dell’equipollenza dei titoli che, fino alla scrittura dei criteri, hanno permesso l’esercizio della professione di osteopata.
RICONOSCIMENTO DI TITOLO ESTERO SOLO DOCUMENTALE? SOLO PER POCHISSIME PROFESSIONI SANITARIE
Le sole professioni sanitarie la cui procedura di riconoscimento di titolo estero consiste in una verifica documentale della sussistenza dei requisiti minimi di formazione sono quelle di medico chirurgo, medico specialista, medico di medicina generale, medico veterinario, farmacista, odontoiatra, odontoiatra specialista, infermiere e ostetrica (direttiva 2005/36/CE).
RICONOSCIMENTO DEL TITOLO ESTERO PROFESSIONALE SANITARIO: DECIDE IL MINISTERO DELLA SALUTE
EQUIPARAZIONE DELLA FORMAZIONE STRANIERA: POSITIVA? NEGATIVA? DA COMPENSARE?
Tutte le altre professioni sanitarie devono ottenere il riconoscimento di un titolo professionale sanitario conseguito in un Paese dell’Unione Europea, Area SEE (Norvegia, Islanda, Liechtenstein) o Svizzera ai fini dell’esercizio in Italia dell’attività professionale di quella professione sanitaria. Il riconoscimento viene rilasciato dal Ministero della Salute (vedi http://www.salute.gov.it)
I percorsi formativi effettuati in un paese estero, cioè, devono soddisfare tutti i requisiti formativi stabiliti in Italia e ottenere il riconoscimento (equiparazione della formazione straniera a quella del paese ospitante). In Italia per le professioni sanitarie l’organismo preposto è il Ministero della Salute e non l’università.
L’organismo del Ministero della Salute che valuta il percorso formativo del richiedente potrà valutarlo positivamente, negativamente o parzialmente, obbligando, nel caso, il richiedente a compensare le lacune formative con un periodo di adattamento e/o con una prova attitudinale.
Il fatto di aver ottenuto un titolo rilasciato da un paese estero NON costituisce assolutamente una garanzia di riconoscimento diretto del titolo, che dovrà essere equiparato, valutato, eventualmente compensato dal Ministero della Salute.
Solo dopo aver superato le eventuali lacune formative si otterrà il permesso di esercizio da parte del Ministero della Sanità e sarà possibile esercitare la professione regolamentata.
Superare le eventuali lacune formative con un periodo di adattamento e/o una prova attitudinale potrebbe voler significare una compensazione da effettuarsi seguendo gli insegnamenti dei corsi di laurea in osteopatia. E questo vorrebbe dire che tutti gli insegnamenti dei corsi di laurea devono essere stati attivati e cioè che la compensazione non potrà completarsi prima che il primo corso di laurea istituito non sia stato completato: sarebbe verosimile che non ci sarà un riconoscimento del titolo estero professionale sanitario prima che il primo corso di laurea italiano in osteopatia non abbia visto i suoi primi laureati, cioè prima che siano trascorsi tre o cinque anni dalla sua istituzione. Si potrebbe verificare la circostanza che i titoli rilasciati dalle scuole di osteopatia esistenti sul territorio italiano potrebbero ottenere l’equipollenza anni prima rispetto al riconoscimento del titolo estero professionale.
Il fatto di essere iscritto ad un albo professionale straniero NON costituisce assolutamente una condizione di garanzia riguardo ad un riconoscimento diretto del titolo e quindi l’esercizio professionale di quella determinata professione nel paese ospitante, neppure effettuando la procedura tramite EPC European Professional Card [art. 4bis comma 5 – 2013/55].
IL RICONOSCIMENTO “ACCADEMICO” DEL TITOLO ESTERO? ASSOLUTAMENTE SCONSIGLIATO:
1. ISCRIVERSI ALL’UNIVERSITA’ – ATTENDERE IL RESPONSO DELL’ATENEO
2. FREQUENTARE I CORSI DEGLI ESAMI NON DISPENSATI
3. RISPETTARE IL NUMERO CHIUSO DEGLI ATENEI
4. CHIEDERE IL PARERE AL MINISTERO DELLA SANITA’
Decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394
Articolo 50. Disposizioni particolari per gli esercenti le professioni sanitarie
8. La dichiarazione di equipollenza dei titoli accademici nelle discipline sanitarie, conseguiti all’estero, nonché l’ammissione ai corrispondenti esami di diploma, di laurea o di abilitazione, con dispensa totale o parziale degli esami di profitto, sono disposte previo accertamento del rispetto delle quote previste per ciascuna professione dall’articolo 3, comma 4, del testo unico. A tal fine deve essere acquisito il preventivo parere del Ministero della sanità; il parere negativo non consente l’iscrizione agli albi professionali o agli elenchi speciali per l’esercizio delle relative professioni sul territorio nazionale e dei Paesi dell’Unione europea.
Quando sarà istituito in Italia il percorso universitario di osteopatia e saranno fissati i relativi requisiti formativi, il titolo estero dovrà essere comparato al percorso italiano. Tenendo conto che oggi anche lauree spagnole di fisioterapia (quattro anni) non vengono riconosciute in Italia (tre anni), obbligando il neolaureato a compensare con numerosissime ore di tirocinio, non è assolutamente sicuro che un titolo estero di osteopatia abbia il riconoscimento diretto da parte del Ministero della Salute, ovunque sia conseguito, anzi.
È una procedura inutile o addirittura dannosa il riconoscimento “accademico” del titolo: il professionista che ha svolto il suo percorso all’estero non dovrà iscriversi nuovamente all’università italiana per richiedere il recognition of prior learning (direttiva 2005/36) con il rischio di dover sostenere altri esami se il percorso dovesse essere differente: il titolo resterà sempre quello estero che potrà o meno permettere l’esercizio della professione dopo la sua attenta valutazione da parte del Ministero della Salute.
Il riconoscimento della laurea estera non è mai automatico. La legge 11 luglio 2002, n. 148 prevede un’integrazione del proprio percorso di studi universitari: i cittadini stranieri dovranno quindi iscriversi all’Università o al Politecnico per sostenere alcuni esami ed elaborare e discutere la tesi (per alcuni corsi di Laurea potrà anche essere chiesto di svolgere dei laboratori, delle esperienze pratiche e/o dei tirocini). Il numero di esami che si dovranno sostenere sarà deciso da una specifica Commissione che valuterà i curricula accademici degli stranieri, confrontandoli con il corso di laurea italiano maggiormente simile. Per il riconoscimento non si devono superare prove di lingua italiana. Per alcune lauree può però essere richiesto lo svolgimento di un test d’ingresso. L’Università cui è stata rivolta la richiesta di riconoscimento deve pronunciarsi entro 90 giorni.
UNA SEDE ITALIANA DI UN’UNIVERSITA’ ESTERA?
SOLO SE E’ STATA AUTORIZZATA LA FILIAZIONE
SOLO SE E’ STATA AUTORIZZATA PRIMA DELL’INIZIO DEI CORSI
SOLO SE IN ITALIA SIANO TENUTI SOLO ALCUNI INSEGNAMENTI E COMUNQUE NON CARATTERIZZANTI
L’art. 2, comma 1 della legge n. 4 del 14 gennaio 1999, così recita: “Alle filiazioni in Italia di università o istituti superiori di insegnamento a livello universitario aventi sedi nel territorio di Stati esteri ed ivi riconosciuti giuridicamente quali enti senza scopo di lucro si applicano le disposizioni del presente articolo a condizione che: a) abbiano per scopo ed attività lo studio decentrato in Italia di materie che fanno parte di programmi didattici o di ricerca delle rispettive università o istituti superiori; b) gli insegnamenti siano impartiti solo a studenti che siano iscritti alle rispettive università o istituti superiori”.
Il comma 2 così dispone: “Le filiazioni di cui al comma 1, prima dell’inizio della loro attività in Italia, trasmettono al Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, al Ministero dell’interno e al Ministero degli affari esteri copia dell’atto con il quale è stato deliberato l’insediamento in Italia, copia dello statuto ed ogni altra documentazione legalizzata dalla rappresentanza diplomatica o consolare italiana competente per territorio, idonea a comprovare l’esistenza delle condizioni di cui al comma 1”.
Il comma 3 così statuisce: “L’attività delle filiazioni è autorizzata con decreto del Ministro dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica. L’autorizzazione si intende comunque concessa trascorsi novanta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 2”.
Le procedure relative ai provvedimenti di autorizzazione all’attività di filiazione in Italia di Università straniere sono state altresì disciplinate dal Ministero dell’Università con apposita Direttiva del 23 maggio 2000. La giurisprudenza amministrativa (Tar Lazio, sent. n. 2651/2013) ha avuto occasione di affermare che “In buona sostanza non può ritenersi filiazione ai sensi dell’art. 2 della legge n. 4/1999 quella con cui una Università straniera trasferisca la maggior parte degli insegnamenti qualificanti uno o più corsi di laurea sul territorio continuando a svolgersi invece nella nazione di provenienza soltanto materie non caratterizzanti il corso di studi, pretendendo poi che il diploma conseguito sia a tutti gli effetti un titolo di studio estero”. Corollario del citato quadro normativo, così come intrepretato dalla giurisprudenza amministrativa, è che in Italia è certamente possibile istituire filiazioni di Università rispettando alcune prescrizioni, tra le quali quella di decentrare soltanto lo studio di alcune materie e non di interi corsi di laurea.