Corso di Specializzazione

Riflessioni di embriologia biodinamica

Relatore:

Dott. Ruggero Cattaneo

Data evento:

Data da stabilire

Sede del corso:

VILLAGGIO del FANCIULLO Piazza Giulio Cesare, 13 70124 Bari

Costo del corso:

€ 366,00 (€ 300.00 + iva)

In convenzione (studenti ed ex studenti Atsai):
€ 244,00 (€ 200.00 + iva)

Figure professionali ammesse:

Tutte le professione sanitarie (Medici, Ostetriche, Odontoiatri, Fisioterapisti, Infermieri, ecc..), Osteopati e studenti di osteopatia.

Descrizione dell'evento

Perché un odontoiatra dovrebbe parlare di embriologia a professionisti della scienza medica e terapeutica in generale? Ci sono persone decisamente più qualificate e specialisti più informati delle cose dell’embrione di quanto non possa essere il sottoscritto. Inoltre, l’embriologia non mi piace particolarmente. L’ho sempre trovata una materia fine a sé stessa, forse utile per comprendere qualche malattia di tipo genetico (rara) o, nella nostra epoca, per favorire la possibilità di fecondazione artificiale; in ogni caso l’embriologia mi è sempre sembrata lontana dalla mia pratica clinica quotidiana e dalla fisiopatologia della stragrande maggioranza delle malattie e dei disturbi che affliggono l’essere umano. Questa disciplina mi ha sempre dato l’impressione di essere prettamente ed esageratamente descrittiva: da questo deriva quello al tempo x, e da quello quell’altro al tempo y. Era ed è, a mio modo di vedere, una disciplina affollata da gergalismi dottrinali chiusa e, spesso, utilizzata come clava d’erudizione più che come veicolo di comprensione e conoscenza della materia medica. In fondo sapere che gli odontoblasti derivano dalle cellule della cresta neurale che migrano nella loro posizione perché incontrano il tal fattore trofico e ad un certo punto innescano la loro attività perché il timing glielo consente, non aiuta molto a comprendere la questione del perché abbiamo i denti e del perché sono in quella posizione e forma. Ma lo sfoggio di tale conoscenza sembra essere imprescindibile per qualsiasi «serio» corso di studi medici. E così anche per me e i corsi che mi è capitato di gestire. L’embriologia è una sorta di totem tabù come l’anatomia, la fisiologia, la patologia: discipline generali che devono essere insegnate «a prescindere», come suole dirsi. Sì, ma l’embriologia mi sembrava “più a prescindere” delle altre. Non credo che sia una mia predisposizione malata a farmi dire ciò. In genere quando si approccia l’embriologia molti di quelli che partecipano al corso, costretti per lo più ad assistere in quanto materia all’interno di corsi più strutturati di medicina, odontoiatria o osteopatia, pensano (perché non si può dire esplicitamente): «Embriologia? No, che palle. Non se ne può più. Ma a che serve?» Ciò significa che molti, troppi individui la pensano esattamente come la pensavo io che la insegnavo. Si fanno le cose per forza, non per amore.
In questo farsi materia non amata l’embriologia stessa ha avuto delle colpe. Soprattutto, quella di eccedere nella parte descrittiva, di separare tessuti, organi e apparati senza dare una valida ragione del perché le parti formano un insieme omogeneo. Inoltre, non è stata spesso in grado di agganciare alla pratica clinica dell’uomo, ormai non più embrione o feto, le caratteristiche e qualità delle forze che spingono un tessuto ad essere quello che è: dall’embrione all’adulto una cellula ed un tessuto devono avere un leitmotiv che dia loro continuità e individualità. Ma è davvero difficile trovare una motivazione generale per il suo studio quando si diventa “adulti” se non si hanno interessi specifici come quelli accennati all’inizio: cura di malattie genetiche rare, sviluppo di cellule staminali o procreazione assistita. Questo è un problema, e non dovrebbe.
Bisognerebbe cominciare a cambiare angolo visivo per pensare che le forme delle strutture oggetto del lavoro professionale possono dipendere da quello che succede in epoca embrionale e non solo e semplicemente da quello che avviene in epoca neo, peri, post natale, come solitamente si pensa. Non mi riferisco alle patologie genetiche o dei dismorfismi traumatici o farmacologici, parlo come dentista delle cose banali dell’odontoiatria come per esempio delle “normali classi dentali”, della “normale variabilità della norma”.
Se si riesce a comprendere che l’embriologia può e deve spiegare i rapporti strutturali e funzionali tra le parti, la loro reciproca influenza nel comune svilupparsi contestuale e contemporaneo allora parti del corpo separate dall’anatomia dell’adulto diventano unite durante la turbolenta e imponente fase di crescita.
Certe “forme” osservabili normalmente nella pratica clinica, certi visi a “banana”, certi morsi crociati monolaterali, certe orbite più basse e mandibole asimmetriche non sono enigmatiche viste sotto l’ottica del “normale” sviluppo embriologico.
L’embriologia così può anche piacere. Il fatto che la faccia sia in quella tale posizione rispetto al cervello e al cuore durante una certa fase dello sviluppo offre un senso diverso alle reciproche forme e funzioni. Un’osservazione d’insieme può anche dare un senso diverso a cellule e tessuti, organi e apparati che risultano in quella situazione specifica, unica per ciascun singolo embrione ed essere vivente. L’embriologia biodinamica di Blechschmidt punta la sua attenzione proprio su tale visione d’insieme dello sviluppo in questa fase della vita.
Eric Blechschmidt e i suoi allievi, in particolare Brian Freeman e Raymond F. Gasser, studiano l’embrione nel suo insieme come un tutto attraverso la sua dinamica, sottoposta a rapidi cambiamenti di forma e dimensione durante la differenziazione. Questa visione olistica dell’embrione in via di differenziazione costringe a concepire lo sviluppo in maniera radicalmente diversa dal momento che gli enormi cambiamenti di dimensione e di forma sono presenti a tutti livelli di scala contemporaneamente. Le cellule e i tessuti, gli organi, gli apparati e i “sistemi” si conformano sul presupposto che le differenziazioni avvengono sempre a cominciare dall’esterno (della superficie della cellula, dell’organo e dell’embrione) per poi procedere verso l’interno. La matrice di questo divenire sono le forze attivate dai campi metabolici. All’interno dei campi le cellule sono sottoposte alla dinamica delle “forze”. Per Blechschmidt la membrana citoplasmatica è estremamente sottile e molto flessibile e la forma delle cellule rifletterebbe la tipologia delle forze esterne che agiscono su di essa. Diventa di basilare importanza per lo sviluppo di una cellula e della sua forma “dove” essa e situata in relazione a queste forze ad ai rispettivi campi metabolici. Il “dove” rappresenta l’ambiente esterno alla cellula, le forze micromeccaniche, i flussi biochimici che generano i “campi metabolici”. È questo esterno che induce la cellula a reagire e a darsi l’aspetto adatto per sfruttare al massimo le condizioni presenti. In funzione del “dove” si determina la “forma”; in funzione di quest’ultima si organizza la “struttura” interna atta a supportare la forma possibile che l’ambiente concede. Lo stesso vale per gli aggregati di cellule a qualsiasi scala.
La conclusione, quindi, di questa idea è che certi tipi di tessuto vengono a formarsi laddove alcune specifiche forze e campi metabolici agiscono tridimensionalmente e non altrove. Secondo questa prospettiva, il nucleo della cellula viene considerato come un centro reattivo che risponde ai vari stimoli in base a tempistiche particolari e modalità specifiche. Molto di quanto propone l’embriologia biodinamica è stato in questi ultimi due decenni, sul versante meccanico, ampiamente dimostrato da D.E. Ingber attraverso lo studio della trasduzione meccanica tra ambiente extracellulare, citoplasma e nucleo cellulare con la formulazione biologica dei principi della tensegrità dovuti agli ancoraggi transmembrana delle integrine.
L’embriologia biodinamica di Blechschmidt è una modalità di osservare la crescita e lo sviluppo dell’essere umano in modo unitario e specie specifico. L’evolversi nel tempo e nello spazio delle singole parti, dei singoli apparati e funzioni sono viste in modo contemporaneo e non separate l’una dall’altra. È impossibile in questa modalità di pensiero scindere lo sviluppo di una cellula, così come di un apparato, da quello di tutte le altre componenti dell’embrione in toto. Si comprende da subito, seguendo questa linea di pensiero, che la parte non può mai essere scissa dal tutto e che la crescita e lo sviluppo del tutto prevede l’esistenza di leggi dinamiche non lineari che correlano la più piccola delle parti con l’insieme, e viceversa l’insieme con la più piccola delle sue parti. È una relazione sempre biunivoca e soggetta a controllo da parte della singola parte e del tutto in modo tale che l’armonia della relazione comporta il fisiologico sviluppo dell’essere umano embrionale.
Un tale modo di intendere e osservare lo sviluppo embrionale permette la scoperta delle leggi emergenti dell’organizzazione proprie della vita, della modalità dell’assemblaggio e della funzione collettiva dei sistemi viventi. Si potrebbe osservare che quello che si constata a livello embrionale a proposito della modalità di funzionamento collettivo può essere osservato anche nel neonato e nelle successive fasi della vita. L’elucidare le relazioni tra le strutture e le funzioni in divenire nell’embrione permette di comprendere l’unità dell’essere vivente “adulto” la ragione della sua “salute” e, in parte, che la “necessità” dell’organizzazione sia così tanto costosa in termini biologici e così precaria. È in questo periodo che si devono ricercare le origini dei sistemi che permettono la diffusione dell’informazione a tutti gli elementi che compongono il tutto. Lungo questa linea di pensiero si ritrovano molti grandi ricercatori e scienziati che, pur appartenendo a campi di studio molto diversi, hanno negli ultimi decenni cominciato ad osservare la realtà nello stesso modo in cui Blechschmidt osservava l’embrione. Questi Autori hanno tracciato le linee scientifiche per l’interpretazione della Natura e dei suoi fenomeni in termini di complessità, non linearità, emergenza mostrando che tutto ciò che è naturale, tra cui l’embrione e l’essere che ne deriva, possono e dovrebbero essere studiati in tale modo.
Non diventa, quindi, importante la conoscenza diretta di cosa sia ciò che informa il tutto, questo di volta in volta potrà essere rappresentato dal sistema nervoso, da quello ormonale, da quello cranio sacrale o da qualsivoglia entità fisiologica o patologica. In questo periodo, cioè nel periodo embrionale, si pongono le basi perché esistano sistemi “longitudinali” di comunicazione che permettono di attraversare le barriere tra cellule, apparati e sistemi per rendere le parti un tutto. Cellule, apparati e sistemi hanno barriere solo create dalla necessità di studio e dalla modalità con cui procedere nello stesso; le barriere non esistono in realtà e la presenza dei sistemi longitudinali è lì a testimoniarlo. Sebbene questi sistemi siano separabili alla fine dello sviluppo, le strutture e le funzioni non lo sono in origine e l’embriologia biodinamica ci suggerisce di pensare alle strutture ed alle funzioni della fine dello sviluppo come frutto e reminiscenza dell’origine, mantenendo in tal senso la traccia profonda dell’unità dell’essere.
I principi dell’embriologia biodinamica di Blechshmidt sono sovra disciplinari: indipendentemente da quale disciplina specialistica medica la si osservi, l’embriologia biodinamica permette a ciascuno di rielaborarne i principi in funzione dell’unità fisiologica e anatomica del proprio campo e, al tempo stesso, di comprendere le leggi che rendono la propria disciplina specifica unita alle altre superando le barriere dicotomiche tra anatomia, fisiologia e patologia specialistiche. Permette anche una visione sovra embriologica, nel senso che non nega le scoperte e le necessità della moderna ricerca molecolare e genetica, semplicemente le inquadra all’interno di una cornice più ampia, togliendo loro il fardello della ricerca del primum movens, della molecola che inizia il tutto, facilitando, inoltre, la comprensione della dinamica dell’accensione e dello spegnimento dei geni e della loro trascrizione.
Le idee di Blechshmidt sono “protoscientifiche” per i più “moderni” ricercatori in ambito embriologico e per i più “moderni” cultori della disciplina medica molecolarmente orientati; è possibile che in parte sia vero. La maggior parte delle idee deriva dal campo dell’osservazione diretta e dalla ricostruzione tridimensionale, il nucleo dell’insegnamento non deriva da protocolli sperimentali o dalla ricerca come viene intesa negli ultimi decenni di follia bibliometrica. È la lunga osservazione, il tempo pluridecennale dedicato allo studio delle osservazioni e alla loro interpretazione che rende il bagaglio pesante e forte di principi salienti ben oltre la “verità” di moda. Provare per credere: si utilizzino le ultime ricerche su uno specifico embrionale qualsiasi e si cerchi il bandolo della matassa, il punto dove la regressione alle domande “sul perché e su chi o cosa produce l’ultima scoperta” finisce. Si scopre la solita regressione senza fine, la regressione che porta ad un “Big Bang” non ulteriormente comprensibile o spiegabile. Si rimane sempre con l’impressione che manchi qualcosa e che solo qualcosa di inspiegabile e metafisico rimanga come spiegazione. O il nulla.
Si prenda l’embriologia biodinamica e ci accorgerà invece che ogni scoperta scientifica è una tessera di un puzzle, forse tracciato in modo protoscientifico, che ha in sé il senso delle cose che si scoprono. L’embriologia di Blechshmidt è un modello, si potrebbe sostenere in modo moderno. Un modello con grande forza euristica: propone una logica che la scienza deve dimostrare come valida. Il modello funziona e le scoperte non fanno altro che avallarne l’applicabilità all’essere umano.
Quindi, da tempo l’embriologia è una parte essenziale del mio dire e comprendere. Forse la parte più esplicativa del perché le cose sono quello che sono e non possono essere diversamente, del perché alcuni interventi «terapeutici» non sono terapeutici per niente, del perché alcuni trattamenti funzionano meglio di altri, e del perché la formula neuro mio fasciale non lineare li rappresenta.

PROGRAMMA

  1. Cos’è l’embriologia biodinamica di E Blechsmidt: l’impulso fondamentale offerto dall’embriologia biodinamica per capire l’unità dell’essere adulto.
  2. I principi fondamentali dell’embriologia biodinamica di E. Blachsmidt:
    Tutto cresce contemporaneamente
    La crescita orientata dall’esterno verso l’interno (ruolo dell’ambiente nell’attivazione della reazione genetica): L’epigenetica è profondamente inscritta nelle idee di Blechsmidt molto prima che venisse scoperta
    Il mantenimento dell’identità cellulare
    La funzione di crescita
    I campi metabolici
    Il gradiente nutritivo
  3. Le grandi idee che si sposano con l’embriologia biodinamica: l’embriologia biodinamica ha profonde radici scientifiche
    L’approccio alla teoria dei sistemi dinamici complessi e alla autoregolazione
    Il modello biologico della integrità tensiva (tensegrity) di D. Ingber
    La necessità dei sistemi aperti di mantenersi in una condizione lontana dall’equilibrio di I. Prigogine
    La libertà di configurazione è funzione della sensibilità alle condizioni di contorno, di base e dell’ambiente circostante: la farfalla di E. Lorenz
    La scelta della natura di riprodurre in scale differenti lo stesso modello di struttura e di dinamica: i frattali di B. Mandelbrot
    I sistemi complessi si autoregolano in base a leggi che scaturiscono ad hoc nel mantenimento dell’insieme strutturale e dinamico: l’emergenza e l’autoorganizzazione di H. Haken
    I sistemi complessi scelgono la via da percorrere: la teoria delle biforcazioni e diagramma di M. Henon
  4. L’embriologia biodinamica si confronta con la complessità:
    La meccano trasduzione, gli osteoblasti e la matrice funzionale: l’ultima versione nel pensiero di M. Moss
    La pain neuromatrix di R. Melzack: i sincizi complessi al posto dei singoli “neuroni” specialisti
    La comunicazione intra e intercellulare alla base della crescita: la volume and wiring transmission di L. Agnati è il fulcro di ogni funzione di crescita
    L’“Io sostengo che nella volta del vivente vi sia una normale mobilità” di W. Sutherland: l’espressione primaria della funzione di crescita
  5. Le interazioni tra i sistemi di controllo longitudinale della fisiologia e della dinamica dell’essere vivente (sistema nervoso, sistema endocrino, sistema immunitario, sistema infiammatorio, dinamica cranio sacrale) possono essere compresi attraverso le idee dell’embriologia biodinamica: la crescita, la salute, il dolore e lo stress in un’ottica di sistema
  6. Alcuni aspetti specifici dell’embriologia biodinamica:
    La respirazione cranica primaria è l’espressione finale della basilare e primaria funzione di crescita dello zigote
    Il campo di crescita tra i futuri cervello, cuore e faccia: le forme e le funzioni non possono prescindere dalla primigenia relazione
    Il campo di crescita della futura “lingua”: in parte cuore e in parte cervello
    L’insieme ioide-lingua: muscoli in campi di dilatazione che veicolano i vettori delle prime fasi di sviluppo
    L’arco zigomatico e la mandibola: si produce il primo atto della successione costale
    Il trigemino e il vago: due attori per lo stesso copione
    Gli archi faringei sono l’espressione delle tensioni e delle leggi biodinamiche
    Aspetti di anatomia macroscopica del periodo postembrionale che sono espressione diretta dei campi metabolici dell’embrione

Relatore (breve CV)

RELATORE (Breve CV)
Nato a Legnano (MI) il 06/08/1958.
Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università Statale degli Studi di Milano nel 1985.
Specializzato in Psichiatria presso la stessa Università nel 1989.
Lavora nel campo della Neurofisiologia con riferimento ai disturbi del Sonno e all’Elettroencefalografia computerizzata.
Dal 1985 lavora come libero professionista in campo odontoiatrico.
Dal 1989 esercita esclusivamente la professione odontoiatrica presso il proprio studio, con particolare attenzione agli aspetti neuromuscolari del sistema stomatognatico che valuta attraverso l’uso dell’elettromiografia di superficie, la chinesiografia computerizzata e la tens
Nel 1992 entra a far parte della IAPNOR, accademia per lo studio delle correlazioni tra apparato stomatognatico e resto del corpo, vi rimane fino al 2010. Nel 1992 incontra per la prima volta le idee osteopatiche che da allora fanno parte attiva del suo bagaglio culturale e dell’orizzonte clinico e di ricerca.
Dal 1997 Docente di “Gnatologia Neuro-Mio-Posturale”, “Odontoiatria neuromiofasciale”, “Protesi Mobile Totale Neuromuscolare”, “Elettromiografia, Kinesiografia, T.E.N.S per uso odontoiatrico”, “Il sistema trigeminale” e “embriologia biodinamica” in corsi privati (Futura, San Benedetto del Tronto)
Dal 2000 al 2008 Docente di Odontoiatria Neuro Mio Fasciale presso l’A.I.O.T. (Accademia Italiana di Osteopatia Tradizionale) di Pescara.
Dal 2006 al 2010 Professore a contratto per l’insegnamento di Protesi presso l’Università degli Studi di L’Aquila, Facoltà di Odontoiatria.
Dal 2006 Docente di “Odontoiatria: Il sistema trigeminale” presso la scuola di osteopatia S.O.M.A. di Milano. In tale sede ha tenuto seminari sul “dolore cronico” e di “embriologia biodinamica”.
Dal 2006 al 2017 Docente al Master di II livello in “Odontoiatria Neuro-Mio-Fasciale” presso l’Università degli Studi di L’Aquila, Facoltà di Odontoiatria, coordinatore Prof.ssa A. Monaco.
Nel 2018 Docente al Master di “Posturologia: attività percettivo-sensoriale, motoria e cognitiva”, presso l’Università di Bologna, per “Il sistema trigeminale”.
Ha tenuto seminari presso varie sedi dell’Orine dei Medici e degli Odontoiatri e presso varie associazioni odontoiatriche sul tema dei disordini temporo-mandibolari e l’odontoiatria neuromiofasciale.
Ha pubblicato tre libri relativi all’uso dell’elettromiografia e della chinesiografia computerizzata in odontoiatria, alla neuroanatomia e neurofisiologia del sistema trigeminale e all’uso della ULFTENS in odontoiatria e nella diagnosi e terapia dei TMD.
È autore di lavori scientifici (30) pubblicati su riviste indicizzate internazionali con particolare riferimento alla ricerca degli aspetti neuromuscolari delle funzioni stomatognatiche e dei correlati centrali della fisiopatologia dei TMD.
Ha partecipato a numerosi congressi trattando particolarmente gli aspetti neurofisiologici del dolore cronico, della fisiopatologia dei TMD, dei principi e della clinica dell’odontoiatria neuromiofasciale e dell’embriologia.